Francesco Cordella
2009-02-04 21:58:05 UTC
Jack Keane: la noia fatta videogame
Jack Keane (FX Interactive 2008)
E questo sarebbe un gioco divertente, appassionante? Ma andiamo. Ho
letto diverse recensioni entusiastiche di Jack Keane – Al riscatto
dell’impero britannico, infarcite di elogi sugli enigmi, sull’atmosfera
leggera, sulle battute di spirito, sul gameplay, sulla simpatia dei
personaggi. Tutte cose che personalmente non ho riscontrato nella mia
esperienza di gioco. In poche parole, ho trovato Jack Keane una brutta
scopiazzatura di Monkey Island, lontanissimo dal capolavoro di Ron
Gilbert al quale vorrebbe ispirarsi neanche troppo nascostamente.
Ma non è un problema di trama, è un problema di tono, di conduzione
dell’avventura e di enigmi astrusi. Un calderone che produce un solo
risultato: la noia. Tanta noia.
La trama, infatti, è quella che ci si aspetta da un gioco così. Nei
panni di un piratucolo scapestrato finiamo per approdare su un’isola
dominata da un losco figuro, il Dottor T. In compagnia di una dolce
donzella, il nostro obiettivo è mandare all’aria i piani del cattivo,
magari trovare un tesoro, e vivere felici e contenti. Roba trita e
ritrita, d’accordo, ma dai clichè possono nascere anche buoni giochi.
Non è questo il caso.
Dicevo, è un problema di tono. Sì perché il gioco e i suoi personaggi
vorrebbero essere simpatici, ma non lo sono: le battute non fanno
ridere, anzi. E le cose da fare sono appunto stucchevoli. Sull’isola, ad
esempio, a un certo punto bisogna fare sposare due locali, un’impresa di
una noia mortale, un’impresa che non coinvolge, forse per l’antipatia
dei personaggi, forse per l’assurdità degli enigmi. Scrivere una
commedia, si dice, è molto più difficile che scrivere un dramma. E Jack
Keane è l’esempio perfetto di questo adagio. Altra situazione: nella
casa del Dottor T dobbiamo introdurci nel suo studio mentre lui sta
placidamente fuori a fare colazione, una situazione del tutto
irrealistica. Che ci starebbe pure se il gioco avesse il giusto “mood”
surreale, ma purtroppo non lo ha e il tutto finisce per essere insulso.
Come quando il nostro eroe si ritrova nudo su un cornicione: scena
ridicola più che divertente.
E gli enigmi peggiorano la situazione. Sì, sono tutti inventory-based,
quelli che amo di più, con qualche fastidiosa incursione nel
pixel-hunting. Il problema è che alcuni non reggono. Ad esempio, quando
bisogna fare unire in matrimonio i due antipatici autoctoni, a un certo
punto ci ritroviamo a girare con addosso un vestito da sposa senza che
nessuno ci dica nulla! Mah. Senza pensare a quando il Dottor T fa
colazione, assieme alla sua assistente, e noi possiamo liberamente fare
casino attorno a lui senza che ci veda… mah!
Vi assicuro, è stata una faticaccia arrivare alla fine: mai un guizzo,
una trovata interessante. Solo e solamente noia.
Francesco Cordella gennaio 2009 (avventuretestuali.com)
Jack Keane (FX Interactive 2008)
E questo sarebbe un gioco divertente, appassionante? Ma andiamo. Ho
letto diverse recensioni entusiastiche di Jack Keane – Al riscatto
dell’impero britannico, infarcite di elogi sugli enigmi, sull’atmosfera
leggera, sulle battute di spirito, sul gameplay, sulla simpatia dei
personaggi. Tutte cose che personalmente non ho riscontrato nella mia
esperienza di gioco. In poche parole, ho trovato Jack Keane una brutta
scopiazzatura di Monkey Island, lontanissimo dal capolavoro di Ron
Gilbert al quale vorrebbe ispirarsi neanche troppo nascostamente.
Ma non è un problema di trama, è un problema di tono, di conduzione
dell’avventura e di enigmi astrusi. Un calderone che produce un solo
risultato: la noia. Tanta noia.
La trama, infatti, è quella che ci si aspetta da un gioco così. Nei
panni di un piratucolo scapestrato finiamo per approdare su un’isola
dominata da un losco figuro, il Dottor T. In compagnia di una dolce
donzella, il nostro obiettivo è mandare all’aria i piani del cattivo,
magari trovare un tesoro, e vivere felici e contenti. Roba trita e
ritrita, d’accordo, ma dai clichè possono nascere anche buoni giochi.
Non è questo il caso.
Dicevo, è un problema di tono. Sì perché il gioco e i suoi personaggi
vorrebbero essere simpatici, ma non lo sono: le battute non fanno
ridere, anzi. E le cose da fare sono appunto stucchevoli. Sull’isola, ad
esempio, a un certo punto bisogna fare sposare due locali, un’impresa di
una noia mortale, un’impresa che non coinvolge, forse per l’antipatia
dei personaggi, forse per l’assurdità degli enigmi. Scrivere una
commedia, si dice, è molto più difficile che scrivere un dramma. E Jack
Keane è l’esempio perfetto di questo adagio. Altra situazione: nella
casa del Dottor T dobbiamo introdurci nel suo studio mentre lui sta
placidamente fuori a fare colazione, una situazione del tutto
irrealistica. Che ci starebbe pure se il gioco avesse il giusto “mood”
surreale, ma purtroppo non lo ha e il tutto finisce per essere insulso.
Come quando il nostro eroe si ritrova nudo su un cornicione: scena
ridicola più che divertente.
E gli enigmi peggiorano la situazione. Sì, sono tutti inventory-based,
quelli che amo di più, con qualche fastidiosa incursione nel
pixel-hunting. Il problema è che alcuni non reggono. Ad esempio, quando
bisogna fare unire in matrimonio i due antipatici autoctoni, a un certo
punto ci ritroviamo a girare con addosso un vestito da sposa senza che
nessuno ci dica nulla! Mah. Senza pensare a quando il Dottor T fa
colazione, assieme alla sua assistente, e noi possiamo liberamente fare
casino attorno a lui senza che ci veda… mah!
Vi assicuro, è stata una faticaccia arrivare alla fine: mai un guizzo,
una trovata interessante. Solo e solamente noia.
Francesco Cordella gennaio 2009 (avventuretestuali.com)